IL FIGLIO DI GUGLIELMO TELL Sun't el fiö del Guglielmo Tell, che l'era un gran òmm
però de me, i geent, i se regòrden gnanca el
nòmm
e pensà che sèri mè, quel fiöö cun la poma in söe la cràpa
e pudèvi mea tremà e pregàvi…"sperèmm che la ciàpa !"
E i geent i me vardàven tücc, i me vardàven giò la finestra
i öcc i me puntàven tücc, ma me vardàvi la balestra…
"Dài papà, dài papà…Proviamo almeno con l'anguria…"
"Non dubitar di me figlio mio, lo sai che divento una furia!"
"Dài papà, dài papà…Proviamo almeno col melone…"
"Non si può figlio mio, tu lo sai… e poi non è neanche la stagione…"
"Dai papà,dai papà…Proviamo almeno col pompelmo…"
"Non temere figliolo, tuo papà si chiama Guglielmo !"
Però l'è mea pö taant bèll…vèss el fiöö del Guglielmo Tell
perché me de quèla volta sun in giir cun là el patèll
e sun cunteent per el mè pà, che l'han fatto eroe nazionale
ma da allora se vedo una mela comincio a stare male…ma male
El papà l'era giò in fuund, l'era giò ch'el ciapàva la mira
e me südavi frècc perché tra l'altro el segütava e segütava a beev giò bìra…
"Desmètela de beev, papà, se no te ghe vedet dùppi"
"Niente paura figliolo, maal che vàda…te cùpi !"
Ecco lo sento, lo sento…adesso scocca!
"Chi è quel pirla che ha parlato? Come sarebbe a dire :
"Proviamo con l'albicocca ?"
Perché l'è mea pö taant bèll…vèss fiöö del Guglielmo Tell…
Sun't el fiöö del Guglielmo Tell
che s'è mea sbassàa a salüdà un capèll…
IL FIGLIO DI GUGLIELMO TELLSono figlio di Guglielmo Tell, che era un grande uomo
però di me, le persone, non si ricordono neanche il nome…
E pensare che ero io quel bambino con la mela sulla testa
e non potevo tremare e pregavo…"speriamo che la prenda!"
e la gente mi guardava, mi guardavano tutti dalla finestra
tutti gli occhi mi puntavano, ma io guardavo la balestra
"Dai papà, dai papà…Proviamo almeno con l'anguria"
"Non dubitar di me figlio mio, lo sai che divento una furia !"
"Dai papà, dai papà…Proviamo almeno col melone"
"Non si può figlio mio, tu lo sai…e poi non è neanche la stagione"
"Dai papà, dai papà…Proviamo almeno col pompelmo"
"Non temere figliolo, tuo papà si chiama Guglielmo !"
Peò non è poi così tanto bello essere figlio di Guglielmo tell
perché io da quella volta sono in giro con il patello
e son contento per mio padre, che l'hanno fatto eroe nazionale
ma da allora se vedo una mela comincio a stare male…ma male…
Il papà era giù in fondo, era giù che prendeva la
mira
e io sudavo freddo perché tra l'altro continuava a bere birra…
"Smettila di bere, papà, se no ci vedi doppio"
"Niente paura figliolo, male che vada…ti uccido!"
Ecco lo sento, lo sento…adesso scocca !
"Chi è quel pirla che ha parlato? Come sarebbe a dire:
"Proviamo con l'albicocca ?"
Perché non è poi così tanto bello essere figlio di Guglielmo Tell…
Sono il figlio di Guglielmo Tell
che non si è abbassato a salutare un capello
DAVIDE BERNASCONI Nato a Monza (11.05.1965),
Davide è cresciuto sul Lago, a Mezzegra, e fin da piccolo è stato un acuto osservatore della realtà che lo circondava. Il Lario è un posto strano, un posto bellissimo, cantato da poeti e scrittori, un posto con le sue tradizioni secolari, la sua atmosfera quasi fiabesca, ma è anche un posto irrimediabilmente stretto per chi guarda ad orizzonti più ampi. Stretto tra le montagne, con quell’unica strada (la Statale Regina cantata in molte canzoni) che ne disegna i confini unendo i paesi rivieraschi, stretto per chi abbia sete di novità, stretto, insomma, per un mondo che si globalizza (termine non necessariamente negativo) e abbatte sempre più velocemente ogni tipo di confine. In fondo, sul lago, si sublima l’eterna differenza che esiste tra la realtà metropolitana e la campagna, senza che una sia necessariamente migliore dell’altra. Semmai diverse, ma complementari. Davide, con la sua poetica scanzonata, ha cercato di individuare non già i punti di divisione (come potrebbe apparire ad un osservatore superficiale), bensì i punti di collegamento tra queste due realtà. La vita scorre secondo ritmi diversi, è vero, ma alla fine gli uomini sono sempre uomini: desideri e paure, grandezze e miserie si mescolano sia nella grande città come nel paesino sul lago, dove però, forse, è più facile scrutare nelle profondità dell’animo umano. Al di là di ogni altra considerazione è forse questa la chiave del successo di Van De Sfroos. Il suo percorso musicale parte da lontano, da ragazzino, quando frequenta il Liceo Classico a Como e spesso si perde nei negozi di dischi, tra Bob Dylan e i Sex Pistols, tra i Rapper e la musica Celtica. Il primo gruppo in cui suona (siamo alla metà degli anni ’80) sono i Potage, atmosfere vagamente punk e testi dissacranti. Un’ottima palestra che però col tempo gli va decisamente stretta. Dopo un’esperienza solista, in cui elabora i primi testi in dialetto, forma un nucleo di musicisti con cui dà vita ai De Sfroos (primi anni ’90). Con mezzi artigianali viene pubblicata un’audiocassetta live significativamente intitolata “Viif” (vi si possono già trovare autentici cavalli di battaglia come “Il fantasma del lac”). L’impatto con la gente è subito forte. Prima meravigliati, poi rapiti “da quel matto che mette nelle canzoni i loro pensieri”) i lagèe lo eleggono subito a loro portavoce canoro. Con l’uscita del cd “Manicomi” (1995) c’è la consacrazione a livello provinciale: La Curiera è un autentico tormentone che tutti i bambini lariani sanno cantare a memoria. Qualcosa, però, nell’atmosfera del gruppo si rompe. Davide, si sente quasi costretto ad interpretare se stesso. Decide di ritirarsi momentaneamente e, dopo una pausa di riflessione, all’inizio del 1997 dà alle stampe – per le edizoni Edlin - il libro di poesie “Perdonato dalle lucertole”. Di seguito riapproda anche sulle scene musicali dove si ripresenta in veste solista (voce e chitarra), pur sostenuto da quella che, con qualche periodica modifica, sarà la sempre più qualitativa Davide Van De Sfroos Band. Nel 1998 realizza il cd Breva & Tivan, un’opera matura e qualitativamente elevata alla quale si accompagna una tournèe estiva che fa segnare quasi sempre il tutto esaurito. Il suo messaggio, pur con tutti i limiti logistici derivanti dal fatto di non essere veicolato da una grossa casa discografica, comincia ad uscire dai confini comaschi. Più di un critico musicale si accorge di lui e nel 1999 gli viene assegnato, a Sanremo, il Premio Tenco, in qualità di “miglior autore emergente”. Quasi contemporaneamente viene pubblicato il mini-cd, “Per una poma”, una miniopera in tre canzoni, in cui vengono affrontati in tono scanzonato altrettanti temi biblici, la vicenda di Adamo ed Eva, quella di Caino e Abele e il Diluvio Universale. Nel 2000 viene riportato alla luce un progetto da tempo dimenticato nei cassetti, il “Capitan Slaff”: una lunga favola ambientata in un tempo mitico sul lago, in cui, tra cavalieri e predoni, vescovi e maghi si assiste all’eterna lotta fra il bene e il male. Davide recita appassionatamente in dialetto (per un’ora buona) il monologo da cui viene tratto un libro (abbinato ad un cd), poi rappresentato con successo in teatro. Nell’ottobre del 2001 pubblica un Cd, dal titolo, significativo, “E Semm partì”. L’album entra subito in classifica e registra un successo clamoroso infatti, dopo aver venduto 50.000 copie, nell’ ottobre 2002 riceve la Targa Tenco 2002 come migliore album in dialetto.
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